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Etichette nel tempo


L’analisi di ciò che si trova in etichetta parrebbe un inutile esercizio; ricordiamoci sempre che essa ha valore d’identificazione e promozione, ma soprattutto legale. Da ciò deriva che vadano lette contestualizzandole al periodo; cambiano le leggi, muta il gusto estetico e il mercato (per definizione ondivago) cerca di adattarsi.

Un aiuto per stabilire almeno il periodo cui fanno riferimento le etichette può venire da un’attenta lettura delle stesse. Nel 1858 fu depositato il decreto che imponeva stringenti normative per registrare il marchio; fra queste era presente l’anno di accettazione.

Il primo caso, del 1859, riguardò il marchio di cognac Planat.

Per restare nell’ambito dell’evasione (informativa!), in qualche caso l’etichetta riporta, al posto del luogo di produzione, un numero che identifica solo la località; in altri il luogo d’imbottigliamento e non quello di produzione, quando é del tutto evidente che è il secondo dato a interessare maggiormente il consumatore.

In alcuni casi compare semplicemente la scritta “EMB”, cioè imbottigliatore, seguita da un numero di riconoscimento e spesso da una lettera maiuscola (A-B ecc. quando in quella località esistono diversi imbottigliatori); il tutto è naturalmente chiaro alla dogana francese e molto meno a chi gusta il prodotto.

Normalmente sono operazioni attuate da strutture di basso profilo e la conferma si ha verificando il prezzo. Le grandi Maison sono più esaustive d’informazioni e certo il produttore/proprietario non nasconde il luogo in cui vive e lavora perché è assai legato alla sua terra ed è giustamente orgoglioso del frutto che ne coglie.

Più importante é trovare in etichetta la scritta “produit, vieilli/élevé et mis en bouteille au domaine/château/propriété” perché questa informazione connota uno stretto legame fra prodotto e produttore.

In alcuni casi compare la notizia sulla presenza o meno della filtrazione (a caldo o a freddo). Apprezzabile anche trovare il numero progressivo relativo al totale delle bottiglie vendute e la data d’imbottigliamento.

È possibile trovare bottiglie con la denominazione Vieil, Vieux, De Luxe, Rare, Exceptionnel, Prestige, Extra Vieil, Monopole, Royal, Impérial, Spécial, Choix Extra, Excellence, Qualité Supérieure, Premium, Réserve Privée, Réserve de Famille, Vénérable. Nulla di mendace, coloriture promozionali.

Qualche perplessità è lecita per le denominazioni VVO, VVSO, VSP, VVSOP, XXO, XXXO e XOP che compaiono su alcune vecchie bottiglie e delle quali nessuno ha saputo fornirmi un chiarimento.

Una nota la dedico alle diciture Fine, Grande Fine, Vieille Fine; era un richiamo che enfatizzava la qualità del distillato. Risale ai tempi passati e sottintendeva Fine eaux-de-vie d’armagnac, di cognac e così via.

Fra le singolarità degne di nota segnalo un 5 Stelle della Maison Gaspy di Tolosa, un 5 Stelle del Domaine d’Escoubès del 1904, ancora un 5 Stelle del Domaine de Couloumé e un 5 Stelle Authentique di Marius Fort. 

Per la gradazione riportata in etichetta, la legge impone una soglia minima di 40° pena la perdita della definizione AOC. Si consente uno scarto dello 0,3%; nel caso dei 40°, ad esempio, essa può giungere ai 40,3.

L’etichetta “Armagnac denaturato” é proposta per la gastronomia, non è da confondere con la denaturazione fornita per la disinfezione. Restando nell’utilizzo gastronomico si trovano etichette assai particolari; segnalano che la composizione è formata da 98% di armagnac, 1% di sale, 1% di pepe.

Si può trovare anche il richiamo a Doyen d’Age e Moyen d’Age; il primo è traducibile come “decano” e rappresenta la più vecchia annata prodotta o messa in commercio mentre il secondo, che è il “medio”, in genere si colloca in una fase d’invecchiamento che si può iscrivere fra gli Hors d’Age meno vecchi.

Esiste anche la possibilità di trovare in etichetta la denominazione “grand bas”; riguarda una zona assai ristretta e attualmente non ha valore legale, ma è accettato per tradizione.

Diverso è il discorso delle diciture Grand Cru e 1° Grand Cru.

Sulle bottiglie antecedenti il decreto Fallières del 1909 (che legalizzava la distinzione fra le tre sottozone dell’armagnac) era abbastanza consueto fornire questa indicazione per i prodotti originari del bas-armagnac.

In assoluto ritengo le più nocive per un giusto inquadramento del prodotto le etichette che riportano la scritta “brandy armagnac”; non v’é nulla di scorretto, ma la generalizzazione brandy ha finito per accomunare distillati diversi fra loro, a scapito dell’unicità di tutti, col risultato di ingenerare ignoranza.

La parola definitiva sulla dizione utilizzabile fu scritta solo nel 1948 quando una convenzione italo-francese sancì che la denominazione utilizzabile per cognac e armagnac fosse riservata alle acquaviti provenienti dalle zone geografiche riportanti lo stesso nome; da quel momento in Italia si può solo parlare di brandy.

Per tutta questa pletora di singolari etichette faccio una deroga solo per le bottiglie del tempo passato.

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